Biagio Vinella, su il sipario con “Nel segno del rugby”
Lo sport a teatro. Pochi giorni fa è andato in scena al Teatro de la Sena di Feltre lo spettacolo “Nel segno del rugby” di e con Biagio Vinella.
Ex giocatore di rugby e allenatore, ma da oltre trent’anni è attore ed autore di testi teatrali legati all’attualità e alla memoria. E’ l’ideatore e organizzatore di “Libero Spazio di Comunicazione Poetica” a Milano e Brescia giunto oramai al decimo anno di attività. Insegna teatro in cooperative sociali e scuole elementari.
Dopo “Rugby Blues” ancora cinque storie di sport, cinque storie vere di uno sport non a caso, ma di rugby. Storie non legate strettamente al gioco, ma vicende di uomini che “casualmente hanno coinvolto sportivi”. Perchè proprio col rugby si sono portate avanti battaglie importanti?
Per istinto, per l’ abitudine ad essere solidali, perché nel rugby non puoi fingere. Può sembrare retorica ma uno dei fondamentali del rugby è il sostegno. Essere vicino al compagno, dargli una mano in qualsiasi momento mettendo se stessi a completa disposizione.
Dario Pallotta, Marco Coco Colombaioni, Archibald Lester Doran…sono gli eroi di cui racconto, uomini che sono intervenuti d’istinto in situazioni molto difficili, esattamente come quando scendevano in campo. Hanno sostenuto chi era in grande difficoltà.
Anche “Nel segno del rugby” il blues fa da colonna sonora alla tua narrazione. In un’intervista hai detto “chi gioca il rugby, il blues lo suona ogni volta che scende in campo”. Ci puoi spiegare questa tua affermazione?
Il blues è la musica della sofferenza e della ribellione. E’ la musica di chi non si dà mai per vinto. Il rugby è così. Chi gioca a rugby non si dà mai per vinto, fino all’ultimo secondo della partita cercherà di fare una meta anche se è sotto di parecchio nel punteggio. E’ questo il blues che si suona in un campo da rugby.
Nel mio spettacolo ho voluto lasciare liberi i musicisti di trasmettere al pubblico le loro emozioni senza condizionamenti di scaletta. Possono suonare quello che vogliono. Qualche volta ci sarà anche del blues, ma potrebbe anche non esserci. A Feltre Ale Spanò ha scelto di suonare il basso usando l’archetto di un violoncello. Io non lo sapevo, è stato fantastico!
Che genere di pubblico assiste ai tuoi spettacoli ed è difficile raccontare il rugby, uno sport ancora di nicchia?
Il pubblico che preferisco in assoluto sono i ragazzi e le ragazze delle scuole medie e superiori. “Rugby Blues” e “Nel segno del rugby” sono trappole. Loro pensano che parlerò di sport, di azioni, placcaggi, mete ed invece si sentono raccontare storie di apartheid, dell’ atroce dittatura in Argentina, della guerra civile di Spagna, di lotte a difesa della libertà e della democrazia. Il teatro per me è una grandissima opportunità, un mezzo bellissimo per comunicare, far conoscere, inseminare con un pensiero o un’idea le coscienze di questi ragazzi e ragazze che rappresentano la sola speranza per un mondo migliore.
Racconto ben poco del rugby giocato. Non è importante, ciò che conta sono le persone e quello che hanno fatto per difendere le loro idee, attraverso ciò che sapevano fare meglio : giocare a rugby.
Una domanda al Biagio Vinella ex giocatore ed allenatore di rugby: è stato più bello giocarlo o raccontarlo, il rugby?
Cosa posso dire. Non sono mai stato un grande giocatore. Avrei voluto esserlo, questo sì. Ma non esserci riuscito non è stato per me un problema, ho avuto molto dal rugby e penso di averne colto la sua essenza filosofica, almeno spero… e adesso sto cercando di rendere in parte quello che il rugby mi ha regalato. Tutto qui.
Mariangela Chirico