What a rugby day! Il grande rugby di scena a Cremona, ma non tutti se ne accorgono
Il World Rugby Championship under 20 ha confermato tutta la qualità di una manifestazione che, probabilmente ,non ha avuto la giusta risposta di pubblico. Lo stadio “Giovanni Zini” di Cremona, che vanta una capienza di circa 20.500 spettatori, si è riempito davvero solo per la finalissima tra Nuova Zelanda e Inghilterra. La presenza in campo dei padroni di casa alle 16:30, in una partita decisiva per il prossimo futuro della nazionale giovanile, non è stata sufficiente ad attirare il pubblico delle grandi occasioni. I presupposti per un tutto esaurito, almeno dei settori aperti (le due curve erano chiuse) c’erano tutti. Il biglietto d’ingresso, con una spesa di soli 20€, permetteva di assistere a ben tre finali e ammirare dal vivo, oltre alle gesta dell’Italia, che è sempre l’Italia, quattro tra le più forti nazionali del mondo: Francia, Sudafrica, Inghilterra e, soprattutto quella Nuova Zelanda che oramai conoscono tutti, anche chi non segue la palla ovale. La giornata è stata anche ben strutturata, senza troppi orpelli o pause lunghissime. Tra una partita e l’altra sono passati meno di venti minuti. Lo spettacolo era in campo.
E di certo non si può dire che le tre finali non siano state spettacolari, ognuna a modo suo. Lo spareggio salvezza, vinto al cardiopalma dagli Azzurri, ha visto gli spettatori assiepati sulle tribune incoraggiare e spingere i propri ragazzi dall’inizio alla fine, nelle mischie e nelle azioni di attacco, ma soprattutto nella strenua difesa finale della linea di meta quando, a meno di dieci minuti dalla fine con un solo punto di vantaggio per l’Italia, gli ospiti hanno eseguito una serie di sfondamenti, senza riuscire a schiacciare la palla oltre alla linea di meta. Probabilmente, il poco richiamo mediatico della partita ha evitato quegli episodi spiacevoli che avvengono sempre più spesso durante le partite dell’Italia, a causa della presenza sugli spalti di tifosi “in prestito” da altre discipline, calcio su tutte, in cui c’è una cultura totalmente diversa dello stadio e del rispetto di tifosi e avversari. Se si esclude un timido tentativo, peraltro prontamente fermato, di disturbare il calciatore samoano Falaniko, al momento del piazzato decisivo, non ci sono stati fischi o insulti verso l’arbitro o verso gli avversari. È stato tifo da rugby.
La finalina tra Sudafrica e Francia ha fatto vedere cose egregie, con gesti tecnici di tutto rispetto e una qualità di gioco da far invidia a diversi club “senior”. Tra l’inizio sprint della Francia, e la super prestazione degli Springboks nella seconda metà del primo tempo, si è assistito ad una partita molto intensa e combattuta, sia sul piano fisico sia sul piano del gioco, con i transalpini alla disperata ricerca della rimonta.
La finale per il primo posto, che di per sé come ogni finale mondiale ha bisogno di ben poco per diventare spettacolare, ha offerto quello che a detta di molti, dai giornalisti allo stesso coach inglese Walshe, è stato un vero e proprio spot per il rugby mondiale. Già prima della partita, tra la fantastica Haka dei neozelandesi, una delle cose da vedere dal vivo almeno una volta nella vita, al cuore dei supporter inglesi che hanno cantato a squarciagola “God save the Queen”, lo stadio, che finalmente si stava popolando in misura adeguata per un evento del genere, si è iniziato a scaldare. La partita, ancora una volta, ha fatto vedere cosa significhi giocare a rugby a livelli alti, perché in campo il fattore anagrafico è stato tutt’altro che rilevante. Anzi, forse, ha anche aumentato la spettacolarità delle partite con alcune scelte di gioco o con alcuni movimenti “senza cognizione”, fatti con l’avventatezza che non ti puoi permettere da adulto, che hanno infiammato della parola il pubblico. Anche sul piano fisico c’è poco da dire. Molti dei giocatori in campo sono già ben strutturati e formati, nonostante la giovane età.
Il pomeriggio di rugby cremonese è stato qualcosa di veramente molto bello e molto positivo, ma è rimasto un evento di nicchia, per rugbisti e tifosi consolidati. Non si è riusciti a sfruttare l’occasione di avere la crème dela crème del rugby mondiale a livello giovanile per far vedere a famiglie e bambini cosa sia davvero il rugby. Non è stato comunicato a sufficienza, in sede di pubblicizzazione del mondiale, che, nonostante si trattasse di una competizione per atleti al di sotto dei vent’anni, il livello fosse assolutamente alto.
La speranza è che, un giorno, guardare le migliori squadre del mondo e vedere l’Italia protagonista tra queste, per ora ci si deve accontentare di guardare i migliori e cercare di imparare da loro, tanto, frattempo, ci si gode lo spettacolo.
Giuseppe Prontera